Cari ragazzi di Basketown e Basketschool Milano,

ho saputo con piacere da Angelo che volete usare segni e simboli presi dal mio racconto del 1997 “Alesia, 52 a.C.” e dal mio romanzo “I fuochi dei kelt”, edito nel 2004 da Mondadori, per la vostra attività agonistica.

Ne sono compiaciuto e orgoglioso.

Spero che vi portino fortuna.

Chi erano i kelt? Erano i Galli. La parola è la stessa. “Galli” riproduce in latino il suono largo che la parola “kelt” aveva nell’antica lingua celtica.

I più forti di loro erano i Belgi. Lo scrive Cesare nelle prime righe dei Commentarii de bello Gallico, che forse conoscete, personalmente o per averlo studiato a scuola. Nella prima fase della guerra gallica, che durò dal 59 al 52 a.C., le legioni romane patirono infatti una terribile e sanguinosa sconfitta ad opera dei Belgae. E anche dopo la completa sottomissione della Gallia, avvenuta con la sconfitta di Vercingetorige ad Alesia nel 52 a.C., i romani non riuscirono mai a domarli pienamente, nemmeno nei secoli successivi.

Al tempo di Cesare “Belgi” si scriveva “Belgae” e non si pronunciava come vi hanno insegnato a scuola, Belge, ma, esattamente, Belgai. Questo era il suono più simile che i legionari romani davano, nella loro lingua, alla fiera popolazione il cui nome in lingua celtica era “BELK”. Cesare li definisce “fortissimi” nel senso, che dicevo sopra, di superaltivo assoluto: erano i più forti di tutti!

Forse anche per rivendicare questo passato celtico e per fregiarsene, facendone motivo di identità e di vanto, negli Stati Uniti d’America varie squadre di baseball, di basket o di altre discipline sportive hanno scelto il nome di Celtics.

La vostra scelta va nella stessa direzione, ma…con un passo in più, rispetto ai normali Celtics. Voi volete essere conosciuti con il nome dei più forti tra i celtics: i BELK, appunto.

Bravi: partite da una posizione più avanzata, dimostrandovi ferrati in storia, prima che…d’acciaio in campo. Vi assicuro che non sono stati molti a pensarci.

Quali erano i simboli distintivi con cui i BELK e i Kelt andavano in guerra?

Non si sa con certezza.

Tuttavia c’è un passo di Cesare e vi sono citazioni, qua e là, di altri scrittori successivi a lui che ci dicono qualcosa.

I kelt usavano simboli presi dalla natura: il tasso, il falco, l’albero di ontano, per non parlare della quercia che era un pò’ il simbolo nazionale di tutti i celti.

Avete presente il cartoon “Asterix”, da cui sono stati tratti i famosi fumetti e anche quel film con Obelix, interpretato dall’attore francese Gérard Depardieu? Bene, allora sapete quanto fossero importanti, nella cultura di quei popoli, la religione basata sulla natura e il simbolo della quercia, l’albero prediletto dai loro sacerdoti, i druidi, che vi compivano riti magici.

Per i Kelt il lupo era l’animale più importante.

Infatti una famosa statua celtica (… è una statua rara: ce ne sono pochissime!), quella del cosiddetto Mostro di Nones, oggi custodita in un museo francese, rappresenta uno spaventoso semidio con sembianze di lupo. Immagini di lupi, inoltre, sono state trovate sui foderi e sulle impugnature delle spade celtiche.

Ai BELK e ai kelt si addice l’emblema, che io cito nel romanzo, della “doppia testa di lupo”, perché era l’animale più importante del loro ambiente. Insieme con il cavallo.

I BELK e i kelt erano infatti famosi cavalieri e aurighi, noti per la loro abilità in tutto il mondo antico.

Ad uno di questi aurighi, a un ragazzo quasi della vostra età (ha sedici-diciassette anni) si ispirano il mio racconto “Alesia, 52 a.C.” del 1997 (dal nome della battaglia, come dicevamo prima, che pose fine dalla guerra gallica, determinando la sconfitta di Vercingetorige) e il romanzo che ne ho tratto anni dopo, nel 2004, “I fuochi dei kelt”.

In entrambi io ho voluto riproporre la guerra gallica, narrata nel de bello Gallico dallo stesso vincitore Cesare, vedendola dalla parte degli sconfitti.

La sottomissione della Gallia, che noi siamo abituati a vedere come uno dei trionfi di Roma, comportò infatti un immenso tributo in vite umane. Milioni di morti, si dice, in sette anni. Eccidi, distruzioni, atrocità, riduzione in schiavitù d’interi popoli, deportazioni e stragi. Non solo di guerrieri. Anche di donne, vecchi, bambini.

Io ho voluto ridar loro voce, perché da 2000 anni non ne avevano più.

Mantenendomi fedele alle fonti storiche oggi in nostro possesso, ho voluto che protagonista fosse un umile, un giovane schiavo, un auriga di un principe kelt, quest’ultimo realmente esistito. Un giovane catapultato, nel pieno di una spaventosa guerra, che prende a dipanarsi giorno per giorno davanti ai suoi occhi, affascinati e atterriti.

Il suo nome? HOCHAM. Che nella lingua celtica significava: Falco. Ho immaginato che il suo soprannome, quale auriga, fosse Falco per la sua vista straordinaria.

Amate il mio piccolo protagonista, ragazzi. E’ un vostro coetaneo.

La sua vita, il suo sacrificio diventino per voi simbolo del dolore e della sofferenza degli innocenti che ogni guerra comporta, del dolore e della sofferenza di cui la storia non reca più traccia, perché la storia – come si è detto – la scrivono sempre i vincitori. Cesare, in questo caso.

Io l’ho riscritta dalla parte degli sconfitti.

Spero perciò che, se sceglierete di essere soprannominati BELK, il vostro grido di battaglia sia “HOCHAM!”.

Fatelo diventare il vostro grido non di guerra, ma di competizione nello sport che, dal tempo delle Olimpiadi greche, è l’unica dimensione che affratella tutti. Come sapete, nell’antica Grecia si sospendevano anche le guerre quando c’erano le Olimpiadi.

Dal canto mio, vi ringrazio per aver scelto nomi a me cari.

E vi prometto, che se mi inviterete, verrò ad assistere a una partita e sarò sugli spalti…con i BELK di Basketown, a gridare “HOCHAM!”insieme a voi.

Un abbraccio, auguri di tante vittorie, sportive e nel cuore, per la vostra vita.

 

Giovanni D’Alessandro