U13: Il tiro da tre punti

“Palleggio oltre la soglia pitturata di giallo stinto sul catrame, l’arco del tiro da 3 punti, a 6 metri e 25 centimetri dal canestro. Nel 2013 è mezzo metro più in là, a 6,75. L’introduzione del tiro da 3 punti, nel basket europeo, risale al 1984. Tra le varie forme di ossessione che ho avuto nella vita, una delle più significative è proprio il tiro da 3 punti.
[…]
Mi sposto appena oltre la soglia dei 6,25 sulla sinistra del campo, infilo il primo tiro.”

[Giorgio Falco, La svalutazione competitiva, in Doppiozero, 2014]

11/05/25: Belk U13-Aurora Desio 50-45
L’ora, anzi l’istante che muta il sentimento della partita, fin lì incerto e sofferto, è quello in cui la palla da tre punti uscita dalle mani del Brambilla si infila nella retina a pochi secondi dalla sirena. L’Aurora vede tramontare la speranza di una vittoria in trasferta, mentre i lupi già ululano alla luna.

17/05/25: Belk U13-Valtexas Bergamo 31-34
L’istante che definitivamente smorza la speranza di portare a compimento una clamorosa rimonta, clamorosa nel senso pieno e cacofonico del termine poiché quell’ultimo quarto iniziato dai Belk sotto di dodici punti e concluso a un passo dalla cima, costa a molti del pubblico lacrime amare e la gola irritata dal gran urlare, l’istante topico della partita – dicevo – si consuma in quei pochi attimi necessari alla palla per descrive un arco che dalla punta dei piedi di Giogi (8 punti) si disegna, prima attraversando il suo corpo teso, forse troppo teso, poi fendendo l’acre umida aria del Boccioni, inopinatamente mancando di pochi centimetri il ferro, per chiudersi in un groviglio di mani protese.
Poi, sospinta dagli ultimi spasmi di patimento, quando ormai la linea dell’elettrocardiogramma si va appiattendo e al ritmico beep si sostituisce il lugubre suono continuo della sirena, la palla giunge di nuovo a Giogi. Il nostro si sposta ancora oltre la soglia dei 6,25 e lascia andare l’ormai inutile tiro. I lupi ululano ma questa volta di delusione.
Avrebbe meritato la tripla il Giogi; avrebbe meritato di portare i Belk ai supplementari, per come si è battuto. Suoi i due punti che aprono l’ultimo quarto e riaccendono gli spenti spalti. Suoi i due punti che nel terzo quarto tengono a galla i Belk e le naufragate ma non sommerse speranze. Suoi i due liberi realizzati in chiusura di primo quarto che tappano la falla.
Avrebbe meritato di lasciarsi ingolosire dal tiro da 3 punti il Brambilla (5 pt) ma l’incandescente finale l’ha vissuto dalla panchina, avendo poco prima patito l’ingiunzione della paletta rossa dei cinque falli.
Non è sempre il suo tiro, ma anche Richi (5 pt) avrebbe ben potuto tentare la tripla in questo finale appassionante. E perché non Tito, desideroso di riscattare un inizio di partita incerto. O Teo (2 pt) il quale a volte, con l’eleganza che lo contraddistingue, prova il tiro dalla distanza, e capitan Uri (4pt), di cui si narra che a Pesaro ha messo dentro la bomba.
Ma i giocatori, e un campionato intero, non si giudicano dall’esito di un tiro. In certe condizioni, come in un finale di partita, chi si prende la responsabilità di un tiro decisivo ha già segnato tre punti a suo favore anche se la palla non centra il canestro. E Giogi si è preso la responsabilità.
La partita è un crescendo rossiniano di emozioni, un accelerando agogico di velocità e ritmo. Partono piano i Belk e vanno sotto di quattro, cinque, nove punti, prima di riprendersi e chiudere il primo quarto sul punteggio di nove a quattordici. Non cambiano i rapporti di forza nella seconda frazione ma cinque più sei fa undici punti di scarto alla fine del primo tempo. Se è protagonista chi va canestro dobbiamo citare Richi e Giogi nella prima frazione, Tia (2 pt) e Greg (5 pt) nella seconda; se consideriamo chi si sacrifica, corre e rincorre allora non possiamo trascurare Gullo e Seba i gattuso e i tonali del parquet.
Al rientro dagli spogliatoi i nostri sono subito avvolti da una densa nuvola di aspettative. Non le tradiscono ma nemmeno le soddisfano magicamente. È un quarto sofferto in cui gli avversari pensano di avere il controllo e di gestire il vantaggio senza rendersi veramente conto che qualcosa sta mutando. Accanto a me un tifoso, cronometrista di professione, scalpita e si strugge per vedere giocare il proprio beniamino. Il suo desiderio è contagioso, così che quando finalmente Arturo entra in campo ci si augura che possa essere lui il Risolutore. Il tempo che gli è concesso però sembra troppo esiguo o forse scorre troppo in fretta. Non è lui come singolo a cambiare le sorti della partita ma è la squadra nel suo insieme, e insieme a lui, a mutare il corso della partita.
Il cambiamento si percepisce forte all’inizio dell’ultima frazione quando il capitale di undici punti in mano ai bergamaschi inizia a evaporare come sudore sulla fronte, a scomparire come sabbia tra le dita. Segna Giogi, segna Tommi, segna Teo; poi ancora Tommi, finalmente Marcello, e infine Tommi. E siamo lì, 31 a 32 con un minuto e venti da giocare. Il Boccioni è una bolgia. A ogni azione in campo, Speranza e Angoscia si scambiano di posto sugli spalti correndo ora qui, nella curva dei milanesi, ora là, nel settore dei bergamaschi.
La posta in gioco è il passaggio ai quarti di finale dei playoff, e negli affannati istanti conclusivi azioni ed emozioni si radicalizzano sull’alternativa secca: dentro o fuori, vittoria o sconfitta. “Senza provare questa esperienza – sostiene Ettore Messina, autore di Basket, uomini e altri pianeti – per quanto drammatica all’inizio, lo sport non sarebbe quella perfetta metafora della vita in cui convivono frustrazione e gioia, cioè una cosa straordinaria.”
Ma poco più in là aggiunge: “detto questo, bisogna ricordare che la vita è fatta di cose più importanti di una partita di basket, anche se di playoff.” Forza Belk!